Esercizio abusivo di una professione e determinazione di altri a commettere il reato

Come abbiamo già avuto occasione di rilevare, le disposizioni della Lorenzin (l. 11/1/18 n. 3) – oltre a tacere sorprendentemente su temi invece da tempo bisognosi di un chiaro intervento legislativo – inaspriscono generalmente il trattamento sanzionatorio di alcune condotte o ne configurano per la prima volta la punibilità: un altro esempio molto significativo [oltre a quello relativo alla detenzione in farmacia di medicinali scaduti, un argomento qui affrontato già un paio di volte] riguarda proprio il reato di “esercizio abusivo di una professione”.
Il comma 1 dell’art. 12 della legge, sostituendo integralmente l’art. 348 del cod. pen., estende il reato – configurando una fattispecie autonoma e prevedendo pene edittali, sia detentive che pecuniarie, più severe rispetto a quelle contemplate per l’autore del reato base – anche al “professionista che ha determinato altri a commettere reato… ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo”.
Ma compariamo brevemente il testo dell’art. 348 c.p. prima della Lorenzin con quello dopo il provvedimento legislativo.

Art. 348 c.p. – testo precedente

Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da centotre euro a cinquecentosedici euro.

Art. 348 c.p. – testo attuale

1. Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro diecimila a euro cinquantamila.
2. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata.
3. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

Art. 348 comma 1: l’esercizio abusivo di una professione

Dal confronto dei due testi, si rileva facilmente che la figura di reato – già prevista dall’originario unico comma dell’art. 348 c.p. – è stata sensibilmente inasprita, come accennato, dal primo comma del nuovo testo dell’articolo.
Infatti, mentre in precedenza l’autore del fatto/base poteva essere punito o con la pena detentiva o con quella pecuniaria, nella disposizione ora in vigore non soltanto c’è un inasprimento sia dell’una (ora “da sei mesi a tre anni”) che dell’altra (elevata di parecchio, come vediamo dal parallelo) ma – soprattutto – l’applicazione delle due pene è oggi cumulativa [e in luogo di o].
È rimasta invece intatta la struttura del delitto, tuttora previsto infatti da una norma penale in bianco dato che per la sua configurazione necessita, a fini integrativi, il ricorso a disposizioni extra penali che stabiliscono i requisiti oggettivi e soggettivi per l’esercizio di determinate professioni (Corte costituzionale, n. 199 del 1999 e, da ultimo, Cassazione penale, Sez. II, n. 16566 del 2017).

Art. 348 comma 3: la determinazione di altri ad esercitare abusivamente la professione

Per una migliore analisi ci occupiamo prima del terzo comma e poi del secondo.
Viene introdotta una figura autonoma di reato a carico del soggetto che con il proprio comportamento abbia determinato altri ad esercitare abusivamente una professione ovvero abbia diretto l’attività di chi sia incorso nel “reato di cui al primo comma”: è una fattispecie aggravata – non applicabile a titolo di concorso – per la quale è prevista una severa risposta sanzionatoria [da 1 a 5 anni di reclusione e da 15.000 a 75.000 euro di multa].

Art. 348 comma 2: le sanzioni accessorie

Eccoci dunque al comma 2 che ha introdotto le seguenti pene accessorie:
a) pubblicazione della sentenza;
b) confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato;
c) trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni.
Guardando soprattutto alla collocazione della norma – inserita dopo il comma 1 e prima del comma 3 – parrebbe trattarsi di sanzioni applicabili soltanto a carico di chi eserciti abusivamente la professione e tenga quindi la condotta di cui al primo comma, e non invece in capo a chi incappi nella fattispecie delineata nel terzo, anche se questa è una conclusione che può rivelarsi in contrasto con la finalità di deterrenza tipica delle pene.
Ma le prime pronunce di merito chiariranno anche tale aspetto, fermo che il nuovo art. 348 c.p. si applicherà – questo è scontato e ben noto a tutti – solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore e dunque dal 15 febbraio u.s. in poi.

Le conseguenze nell’attività di farmacia

Come detto all’inizio, tali nuove disposizioni avranno sicuramente conseguenze significative per il farmacista.
Intanto, se trascuriamo ipotesi che sembrano più che altro di scuola [il farmacista che dispensa un farmaco in assenza della ricetta medica o formula ex tempore in farmacia una… diagnosi con tanto di “prescrizione di fatto” o si sostituisce all’infermiere o s’interpone con… “iperattività” tra il cliente e la macchina nell’autodiagnostica, e così via], oggi il reato base di cui al primo comma è soltanto il non farmacista che ragionevolmente può commetterlo, almeno nell’attività concretamente svolta nella o per la farmacia come tale [mentre, quando era in vigore l’unico comma e quindi soltanto il reato/base, ne poteva rispondere, ma solo a titolo di concorso, anche il farmacista che in farmacia avesse agevolato la condotta criminosa dell’esercente abusivo (la professione di farmacista)].
Sarà perciò solo il magazziniere, o il commesso, o in generale il personale dipendente non laureato, a potersi rendere autore della condotta configurata nel primo comma.

Al contrario, potranno incorrere nel terzo comma soltanto il titolare in forma individuale (o il suo sostituto), il direttore responsabile della farmacia sociale ma anche [ipotesi tutt’altro che meramente teorica] il farmacista collaboratore, senza necessità almeno in questa sede di scendere nei dettagli.
Ma a tali fini sarà forse sufficiente – trattandosi di un reato a consumazione istantanea – che un magazziniere, magari in un momento di massima affluenza di clientela in farmacia, somministri un farmaco direttamente e di pura sua iniziativa, rendendosi quindi sol per questo responsabile del reato di cui al comma 1 dell’art. 348 c.p., per poter ritenere al tempo stesso anche perfezionata a carico del titolare/direttore/collaboratore della farmacia la figura di cui al comma 3?
Salva la valutazione del fatto sotto il profilo deontologico con i criteri propri del procedimento disciplinare, è lecito probabilmente pensare, anche dalla lettura del comma 3, che per la configurazione di questa autonoma fattispecie di reato sia comunque necessaria una condotta – commissiva più frequentemente che omissiva – del farmacista che, ad esempio, “ordini” al magazziniere la consegna del farmaco al cliente, o anche, molto più semplicemente, non ne impedisca consapevolmente la somministrazione.
Ma qui saranno i casi concreti e le relative valutazioni del giudice a segnare le linee di confine tra il lecito e l’illecito.

(federico mongiello)

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