Farmaci meglio parlarne
Il dibattito pubblico, forse per la prima volta, vede affacciarsi un nuovo protagonista: i farmaci. Si tratta di un argomento destabilizzante, per due ordini di motivo.
Anzitutto, non ne siamo abituati a parlare. Nemmeno gli esperti lo sono, convinti da sempre che si tratti di una questione troppo complessa. Meglio, si pensa, non darla in pasto ai profani, a chi non ha gli strumenti per comprendere.
Il fatto è che siamo nell’era della rete, le notizie girano e le persone vogliono capire. Oggi più che mai, ovviamente. Ma in rete si trova di tutto; e qui entra in campo il secondo problema: la disinformazione.
Come uscire da questo circolo vizioso, nel quale gli esperti si chiudono a riccio e difendono con le unghie la prerogativa di essere gli unici ad avere voce, perché gli unici ad avere studiato; mentre l’altra parte del cielo ha una immensa sete di comprendere e di essere informata?
Anzitutto, cerchiamo di capire chi sono “gli esperti”. Questo è un punto cruciale, perché spesso si pensa che essi siano i pochi volti noti a livello mediatico, coloro che oramai sono diventati un importante riferimento per l’opinione pubblica, per i commentatori e, finanche, per la politica. Tuttavia, é bene comprendere che, per quanto autorevoli, i volti mediatici sono la punta dell’iceberg di un immenso esercito di professionisti della salute, persone preparate ed in grado di formarsi un’idea sulle diverse opzioni terapeutiche attualmente e sulle loro possibili strategie di impiego.
Per fare un esempio, se la maggior parte della popolazione non ha ben chiaro cosa si intenda per fase due di sperimentazione, ci sono un milione tra medici e infermieri che sanno esattamente di cosa si sta parlando. Allo stesso modo, se si cita il meccanismo d’azione di un antivirale, sempre per fare un esempio, possiamo contare su 140mila farmacisti e 35mila veterinari che non solo lo capiscono, ma sono in grado di spiegarlo ai propri clienti.
E’ vero, in rete girano diverse bufale sui farmaci, spesso alimentate da teorie di complotti e da scenari surreali.
Tuttavia, la soluzione non è evitare il dibattito pubblico, bensì parlarne ancora più di prima. Solo attraverso una maggiore consapevolezza si possono discernere le bufale dai ragionamenti pertinenti. Occorre discutere, ragionare, confrontarsi. Serve comprendere che la scienza non è verità assoluta, ma ricerca. E la ricerca parte dal dubbio, non dalla certezza.
Per questi motivi, risulta fuorviante il confronto tra fake news e verità. Ed è deleteria quella tentazione, sempre più pressante, di concedere il diritto di parola a pochi saggi.
Il farmaco, oggi, è un elemento di dibattito pubblico. E come tale deve essere trattato, per offrire alle persone la possibilità di comprendere, di formarsi idee, di dire scemenze, di cambiare idea. L’essere reticenti su questi temi, magari perché considerati sensibili, alimenta le teorie complottische.
Quando in un video virale si afferma “vi faccio vedere cosa vi nascondono” si sta semplicemente domandando la ragione per la quale non se ne parla nel dibattito pubblico. Ma questa stessa frase può essere presa per disinformazione, per benzina sul fuoco del complotto.
Nel nostro paese, come del resto in tutto il mondo, si parla di calcio o di politica senza essere allenatori e senatori. Si dicono stupidaggini, certo. Ma fintanto che Bepi del bar sport non fa la formazione della nazionale, problemi non ce ne sono. E fintanto che mia zia non approva leggi in Parlamento, danni non ne possono nascere.
Allo stesso modo, non dobbiamo avere paura di un dibattito, anche immaturo, sui farmaci: le persone non possono ancora fare prescrizioni e in farmacia ci sono dei professionisti che non distribuiscono farmaci delicati senza ricetta. Nessuno fa accaparramenti di idrossiclorochina, per esempio, se non qualche sciacallo del sistema a fini speculativi.
Il male non è l’informazione, ma la paura di condividere pensieri, informazioni e idee. Questo vale in ogni ambito, anche per i farmaci. I problemi sono ben altri, non certo il dibattito pubblico.