Fondazione Onda: una corretta informazione sui contraccettivi ormonali per una contraccezione consapevole
L’enfasi data dai media alla nota AIFA, diffusa il 15 novembre, che mette in guarda contro i rischi di depressione e comportamenti suicidari legati all’assunzione di contraccettivi ormonali, è eccesiva e rischiosa. Estrapolata dal contesto di riferimento, può ingenerare timori, reticenze e disorientamento nelle donne che dovrebbero invece considerare la contraccezione un’alleata della loro salute generale e sessuale-riproduttiva.
“Come Fondazione Onda siamo convinti del valore e del ruolo della contraccezione e siamo attenti alla salute e al benessere femminili”, spiega Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere. “Riteniamo fondamentale la corretta informazione, modulata rispetto al target di riferimento, essenziale perché le donne, con il supporto del ginecologo, possano gestire al meglio la loro salute riproduttiva”.
Fondazione Onda infatti svolge da anni attività educative e di informazione per costruire una cultura della contraccezione che in Italia ancora fatica a consolidarsi per via di barriere socioculturali e dei tabù.
Manca ancora oggi un programma organico e strutturato di educazione all’affettività e alla sessualità: una lacuna che “spiega” perché il nostro Paese sia in fondo alla classifica europea per l’uso dei contraccettivi ormonali (16%) e perché ancora moltissime delle under 25 italiane (42%) non utilizzino alcun metodo contraccettivo durante la prima esperienza sessuale.
“Le terapie ormonali vengono spesso colpevolizzate senza considerare che molte sono le cause che possono concorrere ad un determinato problema in ambito medico”, sostiene Rossella Nappi, Professore Ordinario dell’Università degli Studi di Pavia, membro del direttivo Onda e membro permanente del direttivo della Società Internazionale di Endocrinologia Ginecologica (ISGE) da anni in prima linea per promuovere lo studio e la ricerca dell’importanza degli ormoni sessuali per la salute ed il benessere del cervello della donna e non soltanto per i loro effetti sulla riproduzione e sulla fertilità.
“Il comunicato di AIFA sulla connessione tra suicidio e uso di molecole ormonali a scopo contraccettivo, seppur molto importante per noi medici perché ci invita a riflettere sul legame fortissimo tra ormoni della riproduzione e buon funzionamento del cervello femminile e sull’importanza di prescrivere la contraccezione ormonale in modo attento, dopo un’anamnesi accurata, sembra però esagerato e può essere dannoso per tutte le donne che da quasi 60 anni hanno scelto e continuano a scegliere di diventare madri responsabilmente e che a volte assumono preparazioni ormonali contraccettive allo scopo di curare patologie importanti come l’endometriosi, la sindrome dell’ovaio policistico ecc. Il 50% delle gravidanze indesiderate esitano in aborto volontario con notevoli ripercussioni sulla psiche femminile e molte patologie per le quali la contraccezione viene prescritta proprio in età adolescenziale, quando il rischio di depressione è severo e il suicido è più elevato, si associano a loro volta ad elevato rischio di ansia, depressione ed altri disturbi psichiatrici. Potrebbe semplicemente trattarsi di una selezione di donne che sentono maggiormente la necessità di proteggersi da gravidanze non pianificate per ragioni psicologiche e socio-economiche o che semplicemente avvertono disagi emotivi in relazione al cattivo funzionamento dei propri ormoni e dei fattori dell’infiammazione che si associano a molte condizioni ginecologiche, a determinare questa differenza che è stata osservata tra donne utilizzatrici di pillole, cerotti, anelli, impianti e spirali medicate e donne che non ne fanno uso. I dati sono infatti analizzati in modo trasversale, cioè senza la possibilità di dimostrare un reale rapporto causa-effetto, e senza considerare che l’adolescenza è un periodo di grandi trasformazioni sul sé corporeo e psichico, dunque a maggior rischio di patologie psichiatriche”.
“Nella nota AIFA – aggiunge Claudio Mencacci, Presidente Società italiana di NeuroPsicoFarmacologia e del Comitato scientifico Onda, nonché Direttore Dipartimento Neuroscienze e Salute mentale ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano – non viene dato sufficiente rilievo alle differenze nel campione delle donne selezionate: non è chiaro se siano escluse quelle che avevano già sofferto di ansia o di depressione e ancor più non è chiara la differenza significativa tra la pillola estroprogestinica, quella progestinica, l’anello, i cerotti transdermici, etc.. e il loro impatto sull’umore, sull’ansia, sull’impulsività anticonservativa (l’impatto è inferiore in caso di utilizzo della pillola estro estroprogestinica rispetto alle altre modalità contraccettive). Certo la popolazione adolescenziale (15-19 anni) è più a rischio delle donne tra i 20-34 anni e nei suoi confronti va attuata una precisa comunicazione e attenzione nella prescrizione. Grande assente, al di fuori della farmacologia, il riferimento alla responsabilizzazione della popolazione maschile rispetto alla partecipazione dell’uomo alla contraccezione come progetto di coppia ancora un doppio peso per le donne da portare fin dall’adolescenza”.