Intelligenza artificiale: che ruolo avrà nelle farmacie?

Metaverso, avatar, assistenti virtuali che rispondono ai sintomi dell’assistito, e c’è pure il tour virtuale in farmacia che conduce l’utente allo scaffale per scegliere il farmaco ed acquistarlo online.
L’intelligenza artificiale è il “tormentone” del momento. Tutti ne parlano: l’opinione pubblica, le categorie economiche, la politica. In questo contesto alcune domande sorgono dunque spontanee: “Quale impatto avrà l’intelligenza artificiale nella nostra vita? Quanto potremmo fidarci e quale evoluzione avrà nelle farmacie? Il presidente del sindacato nazionale Farmacieunite, Federico Conte, ha posto questi interrogativi a un’esperta del settore: Diletta Huyskes, dottoranda in sociologia all’Università degli Studi di Milano dove sta studiando l’uso degli algoritmi e le intelligenze artificiali da parte della autorità pubbliche, i valori che guidano la loro progettazione ed il loro impatto sociale. La dottoressa Huyskes è inoltre CEO di “Immanence” società che supporta le organizzazioni con valutazioni etiche del rischio e degli impatti delle loro tecnologie digitali, ed è responsabile di “Advocacy & Policy di Privact Network” no-profit a difesa dei diritti fondamentali nel digitale.

“L’intelligenza artificiale è già entrata nelle nostre attività, ad esempio con la de materializzazione delle ricette – osserva il presidente di Farmacieunite, Federico Conte – . Tuttavia il tema è molto ampio e ci si chiede come questa potrà svilupparsi nelle farmacie, anche alla luce di applicazioni che possono rispondere ai problemi dell’utenza sostituendosi in parte, o totalmente, al farmacista. Sarà un bene o dobbiamo preoccuparci? Ho cercato di fare un po’ di chiarezza su questo rivolgendomi a un’esperta del settore”.

“I settori privati e pubblici in tutto il mondo stanno sempre più spesso sperimentando le decisioni automatizzate, delegando parte dei processi decisionali a software e modelli matematici.
Ciò avverrà con regole diverse in qualsiasi ambito, quindi anche nelle farmacie – spiega Diletta Huyskes – La promessa è generalmente quella di aumentare l’efficienza e l’obiettività del loro decisionale, potendo analizzare una quantità di dati molto più ampia di quanto potrebbe fare un essere umano.
La richiesta è in aumento perché queste tecnologie permettono di risparmiare tempo ed offrire servizi personalizzati”.

Da qualche settimana l’applicazione “ChatGPT” è sulla bocca di tutti. “La considero poco più di un “gioco”, utile a rispondere a problemi semplici o ad aiutare a mettere in ordine le idee – continua Diletta – . Io credo che quello su cui dobbiamo concentrarci ora, senza distrarci, sia l’intelligenza artificiale utilizzata per decidere se concedere o meno un prestito, un sussidio, una condanna penale a una persona, in tali contesti è tuttavia urgente capire come vogliamo governarla. Un’intelligenza artificiale non adeguatamente governata può provocare la sotto-rappresentazione di alcuni gruppi sociali e la loro conseguente esclusione o discriminazione”.

Nel caso specifico della farmacia, si è assistito all’introduzione di assistenti virtuali “basati su tecniche analoghe a quelle di “ChatGPT” – osserva ancora la ricercatrice – che dopo aver imparato grazie ad ampie quantità di dati ricevuti, spesso non controllate, restituiscono un consiglio al paziente.
Non differisce molto dalla ricerca dei sintomi su Google che restituisce elenchi di patologie, dalla più comune a quella mortale. Nella migliore delle ipotesi, l’automazione può restituire indicazioni generali che aiutano ad andare in una certa direzione, le quali vanno però sempre affiancate all’esperienza umana”.

Il rischio di una programmazione non adeguata è l’erronea categorizzazione delle persone. “Può accadere, ad esempio, è che un modello impari a categorizzare persone, rintracciando pattern nei dati e in base alle regole su cui è stato programmato, in base ad una singola caratteristica comune, finendo per raggruppare tra loro individui con esigenze completamente diverse. In ambito sanitario o farmaceutico è facile che accada: questi software esistono per categorizzare e raggruppare, non per valutare il caso specifico e prestare attenzione, cura e flessibilità.
La discrezionalità, il poter cambiare idea e costruire un’ipotesi insieme all’altra persona, sono caratteristiche umane e che tali rimarranno”.

“Un errore già molto diffuso è quello di pensare che algoritmi così sofisticati possano sostituire le decisioni umane senza necessità di supervisione anche in contesti particolarmente sensibili – conclude Diletta Huyskes -.
La realtà però ci dimostra che i migliori risultati, dal punto di vista tecnico e socio-culturale, si possono ottenere solo quando l’intelligenza artificiale viene usata per aumentare le capacità umane, e non automatizzarle completamente”.

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