La minaccia omicron e l’appello degli infettivologi: non perdere fiducia in vaccini e anticorpi monoclonali

Vaccinarsi contro il Covid-19, anche con la terza dose, è ancora più importante alla luce del moltiplicarsi delle varianti e dei primi casi di omicron riscontrati in Europa. Questo è uno dei messaggi che emerge del XX Congresso della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT, in corso a Milano dal 28 novembre al 1 dicembre.

Il Congresso SIMIT è partito in un momento già estremamente delicato per la recrudescenza della pandemia di Covid-19, caratterizzata da un aumento del numero dei casi, dall’aumento dei ricoveri in degenza ordinaria e in terapia intensiva e dalle nuove chiusure in diversi Paesi europei. L’arrivo della nuova variante B.1.1.529, denominata “omicron” dall’OMS, con 32 mutazioni della proteina spike (la parte del virus che i vaccini usano per innescare il sistema immunitario contro il Covid) ha reso l’appuntamento ancora più significativo.

“Questa situazione evidenzia ulteriormente l’importanza della campagna vaccinale – sottolinea il Prof. Claudio Mastroianni, Vice Presidente SIMIT – Anticipare la terza dose alla scadenza del quinto mese dalla seconda è corretto per il calo della protezione immunitaria che si verifica a partire dal 4° mese; la dose di richiamo è poi essenziale per i soggetti fragili, anziani, i soggetti con comorbidità e immunocompromessi. Un’elevata circolazione del virus, infatti, può favorirne le mutazioni e quindi le varianti, proprio come avvenuto con la omicron, emersa in Sudafrica, dove il tasso di vaccinazione è molto basso, appena del 25-30%. In attesa di meglio definire il livello di trasmissibilità, patogenicità ed escape immunitario di questa nuova variante, resto fondamentale effettuare la terza dose, che è la principale strategia che abbiamo per contrastare la diffusione di questa come di altre varianti che dovessero emergere. Poi fortunatamente i vaccini a mRna possono essere facilmente modificati in base alla circolazione di nuove varianti virali, quindi si potranno apportare agevolmente eventuali correttivi”.

Nella prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2 il vaccino è l’arma principale, ma per alcune situazioni potrebbero essere utili gli anticorpi monoclonali. Non è ancora una strategia attuabile, ma può essere uno sviluppo futuro nell’utilizzo dei monoclonali, già impiegati in funzione terapeutica. “I soggetti che potrebbero trarre beneficio da un uso degli anticorpi monoclonali in profilassi pre-esposizione sono coloro che non possono fare il vaccino, che non sviluppano una risposta immunitaria o si prevede che non la sviluppino. Sono quei soggetti fragili sottoposti a terapie immunodepressive – spiega il Prof. Mastroianni – Accanto al possibile uso in profilassi pre-esposizione, ci sono dati che indicano che sono efficaci anche come profilassi post-esposizione in soggetti fragili con tampone negativo ma che sono stati contatti stretti di persone infettate dal virus. D’altra parte l’impiego degli anticorpi monoclonali orami è una realtà consolidata nel trattamento delle fasi precoci dell’infezione in quei soggetti che presentano un alto rischio di sviluppare una progressione severa della malattia. Fondamentale è la somministrazione precoce che deve avvenire preferibilmente entro 3-5 giorni dall’esordio dei sintomi.
Poi vi sono coloro che vengono ospedalizzati perché hanno una polmonite che non necessita di un supporto respiratorio intensivo, e hanno un test sierologico negativo agli anticorpi: anche per loro i monoclonali possono funzionare come cura.
Gli anticorpi monoclonali rappresentano una terapia dal grande impatto nell’evitare l’ospedalizzazione, una delle conseguenze più devastanti del Covid. Oggi vengono somministrati in via endovenosa, ma l’auspicio è che presto possa essere possibile anche la formulazione intramuscolare e sottocutanea per eseguire la terapia a domicilio”.

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