La premorienza di un coassegnatario prima del rilascio della titolarità

Vorrei avere chiarimenti in merito alla seguente tematica. Il referente di un’associazione assegnataria di sede è deceduto prima di poter costituire con il proprio associato la società di gestione della sede e di inoltrare la documentazione necessaria per il rilascio dell’autorizzazione all’apertura dell’esercizio farmaceutico. Il coniuge, in qualità di erede, ha formulato istanza di proroga dei termini di apertura. Vorrei sapere se l’erede è legittimato a richiedere la proroga e se a seguito dell’assegnazione il de cuius ha acquisito un diritto soggettivo, come tale suscettibile di cadere in successione. In secondo luogo, se la sede possa essere aperta dall’associato superstite, sotto forma di dita individuale o in società con l’erede, oppure se la premorienza del referente, sopraggiunta a seguito dell’assegnazione e prima dell’autorizzazione, implichi la sottrazione del relativo punteggio, con conseguente retrocessione in graduatoria e decadenza dell’assegnazione.

 

Il comma 7 dell’art. 11 del Decreto Crescitalia, che disciplina la conduzione della farmacia conseguita in forma associata nei concorsi straordinari, prevede – come è noto – che “la titolarità della farmacia assegnata è condizionata al mantenimento della gestione associata da parte degli stessi vincitori, su base paritaria, per un periodo di tre anni, fatta salva la premorienza o sopravvenuta incapacità”. Nel corso di questi lunghi sei anni è capitato naturalmente altre volte che uno degli associati sia deceduto nel corso della procedura concorsuale ma sempre [almeno finora, per quanto ne sappiamo] prima della formazione/pubblicazione della graduatoria. In tali evenienze le Regioni – invece di escludere puramente e semplicemente l’intera formazione dal concorso [che forse, proprio per il momento in cui è intervenuto il decesso di uno dei componenti, non sarebbe stata una soluzione campata in aria…] hanno optato generalmente per la permanenza nella procedura della compagine così ridotta, ma [ai fini della determinazione del punteggio complessivo e pertanto della posizione in graduatoria] sottraendo al totale dei punti attribuiti [o attribuibili] all’intera compagine quelli ascritti [o ascrivibili] al concorrente deceduto. Anche una sentenza di Tar [Toscana n. 1413 del 26.10.2015, su cui v. Sediva News del 27.10.2015: “Il Tar Toscana sulla premorienza di un partecipante in forma associata nelle more del concorso”], la sola che dovrebbe essersi occupata della specifica vicenda, ha deciso in questa direzione perfino plaudendo all’ipotesi risolutiva individuata dalla Regione nella “difficile problematica originata dal decesso in corso di procedura di uno dei due farmacisti partecipanti in forma associata” e  dunque condividendo pienamente la scelta di non escludere l’associato superstite [anche in quel caso, infatti, la formazione era composta da due soli farmacisti ed era deceduto uno dei due] ma di mantenerne la partecipazione al concorso in “forma singola” prendendo in considerazione soltanto i suoi titoli, peraltro con risultati nel concreto molto vicini all’esclusione… In quella circostanza i giudici toscani hanno precisato che tale soluzione è anche “imposta da una lettura estensiva” della disposizione citata che [pur “dettata con riferimento alla fase successiva all’assegnazione”] “esclude le ipotesi in cui la modificazione societaria derivi da <<premorienza o sopravvenuta incapacità>> (ovvero da eventi imprevedibili e non determinati dagli associati) dall’obbligo di non modificare, nei dieci [oggi tre] anni successivi all’assegnazione, la gestione in forma associata da parte dei raggruppamenti di candidati che abbiano vinto la procedura; in questo modo viene così a delinearsi un sistema normativo caratterizzato da indubbio favor per la conservazione all’associato incolpevole degli effetti favorevoli derivanti dall’opzione per la partecipazione in forma associata alla procedura”. Nel caso invece da Lei proposto uno dei due covincitori – e in questa fase non ha alcun rilievo che si sia trattato del referente – è deceduto dopo la pubblicazione della graduatoria e l’assegnazione definitiva della sede [che ha chiuso il cerchio di competenza regionale], e però prima del riconoscimento della titolarità della farmacia, che nella Sua regione è assentita se non altro alla società come tale e non in forma di “contitolarità” ai coassegnatari. Mostrando comunque – anche per l’incarico che crediamo Lei ricopra nell’amministrazione regionale – buona competenza in questa materia e soprattutto la meritoria esigenza di confrontarsi con qualcuno per tentare di saperne di più, Lei ci propone in sostanza tre soluzioni: 1 – la decadenza dall’assegnazione del concorrente superstite, quale conseguenza pratica della decurtazione dei punti riconosciuti al concorrente deceduto, che è l’ipotesi che abbiamo visto optata dalle Regioni e dal Tar Toscana ma in casi, come si è ricordato, di decesso di uno dei componenti prima della formazione e approvazione della graduatoria; 2 – il rilascio della titolarità al concorrente superstite, in forma quindi di titolarità individuale; 3 – il rilascio della titolarità alla società, di persone o di capitali, formata dall’altro concorrente e dall’erede/eredi [e nella specie del solo coniuge superstite, che è infatti l’unico erede] di quello deceduto: anche questa configura di conseguenza un’ipotesi di “lettura estensiva” del comma 7 dell’art. 11, ma senza la sottrazione di punti contemplata nella soluzione sub 1. Esaminiamole rapidamente una per una. Non riteniamo intanto condivisibile la soluzione sub 1, perché nel sotto-sistema sui concorsi straordinari delineato nell’art. 11 e integrato dalle disposizioni dei bandi la decadenza dall’assegnazione postula – secondo, in particolare, l’art. 12 (o 13) dei bandi – l’esclusione dalla graduatoria, mentre la “semplice” sottrazione dei punti riconosciuti alla formazione per i titoli del concorrente deceduto comporterebbe la permanenza del coassegnatario superstite nella graduatoria [sia pure evidentemente in una collocazione di gran lunga deteriore rispetto a quella attuale] e l’ineludibile rettifica/riedizione di questa. Senonché il punteggio complessivo attribuito – correttamente, dato che a quel momento erano in vita ambedue i componenti – alla compagine ne ha già fissato definitivamente la posizione in graduatoria, la cui approvazione e pubblicazione hanno perfezionato/esaurito la fase sub-procedimentale ad essa relativa che [per questo come per altri aspetti], è autonoma rispetto alle altre fasi dell’intera procedura, inclusa quella che conduce gli assegnatari al rilascio della titolarità. Tale fase non può dunque essere riaperta se non per fatti strettamente inerenti alla fase stessa [errori materiali di punteggio o di redazione della graduatoria, carenza originaria di requisiti di partecipazione emersa solo successivamente, ecc.] e non per vicende sopravvenute e ad essa del tutto estranee. La via praticabile non sembra essere pertanto quella di riduzione del punteggio indicata sub 1). Anche sulla proposta sub 2) è lecita più di una riserva, tenuto conto che il concorrente superstite finirebbe per cogliere un obiettivo – la titolarità in forma individuale di una farmacia – molto diverso da quello per il quale ha partecipato in associazione con il coassegnatario poi deceduto. Come si può infatti convertire ex officio o d’imperio il risultato per il quale si è concorso – che, per il disposto del comma 7 dell’art. 11, era e non poteva essere altro che il conseguimento di una sede da esercitare in forma di impresa collettiva [o, se si preferisce, in “gestione associata… su base paritaria”] – in un riconoscimento del diritto di esercizio di una sede, assegnata all’intera candidatura e per ciò stesso anche all’altro concorrente, a nome e a favore di uno solo dei componenti la compagine vincitrice? Resta quindi la soluzione sub 3 che d’altra parte sembra anche la più ortodossa (o la meno eterodossa?), e comunque è quella che noi preferiamo. Questa vicenda può infatti ragionevolmente essere inquadrata anch’essa, e forse a maggior ragione rispetto a quella decisa dal Tar Toscana, in una delle due ipotesi [“la premorienza”] in cui la norma permette – nonostante il venir meno di uno dei vincitori prima del decorso dell’intero triennio – di conservare “la titolarità della farmacia assegnata” e probabilmente, non ricorrendo i presupposti per una “gestione associata”, anche di gestirla fino al compimento del periodo non più “su base paritaria”. Qui pertanto la “lettura estensiva” del comma 7 dell’art. 11 non si traduce – per quanto detto – nella sottrazione dei punti relativi ai titoli riconosciuti alla posizione del coassegnatario deceduto, e tuttavia permette di estenderne per analogia [eadem ratioeadem dispositio] l’ambito di operatività anche al periodo antecedente al rilascio della titolarità ma successivo all’assegnazione definitiva della sede [trattandosi per di più di una disposizione che, come ha sottolineato il Tar Toscana, è “dettata con riferimento alla fase successiva all’assegnazione”, che è per l’appunto il nostro caso]. Per le ragioni già illustrate, però, la titolarità non può essere tout court rilasciata al concorrente superstite, e perciò anche qui la soluzione deve passare in principio per una “gestione associata… su base paritaria”. Del resto al coassegnatario premorto – che al decesso era portatore [per rispondere a un altro Suo interrogativo] di un’aspettativa legittima intensamente tutelata ma non ancora di un diritto soggettivo – potrebbe/dovrebbe succedergli anche in tale aspettativa il coniuge superstite, così che egli possa costituire con l’altro concorrente una società di persone o di capitali – formata e gestita appunto “su base paritaria” – cui sia riconosciuta la titolarità della farmacia, ma senza necessità che siano attribuiti all’erede incarichi lavorativi nella o per la farmacia sociale, né competenze di amministrazione e/o di rappresentanza della società [abbiamo d’altronde chiarito più volte che non è previsto da nessuna parte l’obbligo di tutti i covincitori di svolgere prestazioni lavorative], ed è quasi doveroso pertanto che in questa eventualità si opti per una sas. Si consideri inoltre che anche la Legge Concorrenza potrebbe venire concretamente in aiuto degli interessati, visto che oggi anche un soggetto non farmacista può legittimamente partecipare a una società titolare di farmacia: è vero che l’equivoco parere della Commissione Speciale del CdS ha espresso l’avviso – quanto alle società formate tra gli assegnatari in forma associata – che nel periodo di “proscrizione” triennale non possono parteciparvi soggetti terzi, diversi cioè dai covincitori; ma qui i “terzi” sarebbero gli aventi causa jure successionis del covincitore premorto talché, perlomeno sotto questo profilo, impedimenti dal CdS a questa soluzione non dovrebbero essere configurabili. Non si ravvisano in definitiva ostacoli insormontabili – neppure per quel che riguarda la par condicio con gli altri concorrenti [anche se magari qualcuno di loro, ove interessato agli interpelli successivi, potrà spingere nella direzione contraria…] – al via libera in questo caso al riconoscimento della titolarità a favore di una società costituita tra il concorrente superstite e il coniuge di quello deceduto, e con la gestione della farmacia “su base paritaria”. Beninteso, come di recente si è osservato [v. Sediva News del 10.07.2018: “Gestione ereditaria un altro (pseudo) problema perché…”], anche in una fattispecie come questa l’erede dovrà esprimere sul piano negoziale il suo assenso ma a tal fine sarà sufficiente la sua partecipazione al rogito formativo della società, in cui peraltro dichiarerà/dovrà dichiarare anche di non versare in alcuna delle condizioni incompatibili contemplate nei commi 1 e 2 dell’art. 7 della l. 362/91. Quanto infine alla “istanza di proroga dei termini di apertura”, pur essendo probabilmente l’erede – proprio quale avente causa del coassegnatario deceduto – legittimato a presentarla [come allo stesso modo sarebbe però legittimato anche il concorrente superstite…], non pensiamo valga la pena correre eccessivi rischi facendo conto più di tanto sull’accoglimento della richiesta e che sia piuttosto il caso di procedere speditamente per l’apertura della farmacia nei famosi sei mesi dall’assegnazione definitiva. Il ricorso a una “istanza di proroga”, semmai, sarà la classica extrema ratio. Ma l’interrogativo finale ancora una volta può/deve essere un altro: sarà in grado la burocrazia comunale – visto che quella regionale per la sede in argomento parrebbe aver esercitato ogni attribuzione ed esaurito i suoi compiti, e che in questa fase è perciò il comune (o l’Asl) a poter/dover assumere qualunque decisione – di aderire alla linea che viene qui indicata, o preferirà una soluzione di mero formalismo [come d’altra parte forse autorizzerebbe un’interpretazione puramente testuale, e quindi una “lettura” evidentemente “restrittiva” del comma 7 dell’art. 11] rigettando semplicemente l’istanza di rilascio della titolarità, così rimettendo in pratica l’ultima parola al giudice amministrativo?

(gustavo bacigalupo)

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