La proteina C reattiva: un semplice test in farmacia per ottimizzare la terapia antibiotica

La proteina C reattiva, detta anche PCR o CRP (C Reactive Protein) è un indice di infiammazione prodotto dal fegato e rilasciato nel circolo sanguigno. In generale, elevati livelli di proteina C reattiva rappresentano un campanello d’allarme per lo stato di salute della persona, che richiede poi adeguati approfondimenti diagnostici. In presenza di una diagnosi certa, come indice di flogosi diventa anche molto interessante dal punto di vista prognostico, per valutare l’andamento e la gravità di un processo infiammatorio o per determinare l’efficacia di una terapia o il rischio cardiovascolare globale (insieme ad altri parametri) anche in una persona sana.
Uno degli utilizzi più interessanti, sia nei pazienti pediatrici sia negli adulti, potrebbe essere la valutazione dei livelli di CRP, condotta al fine di guidare la prescrizione di antibiotici.
Un recente articolo su NEMJ lo indica come parametro utile per ottenere un impiego più parsimonioso di questi farmaci anti-infettivi, essenziali nei pazienti affetti da riacutizzazioni di Bpco. Grazie al test della Proteina C Reattiva è possibile distinguere le infezioni batteriche da quelle virali, un test rapido e mininvasivo che può davvero fare la differenza. Studi scientifici indicano inoltre che il test della PCR riduce la prescrizione di antibiotici, senza compromettere il processo di cura dei pazienti.
Oggi per il clinico e soprattutto per il paziente si presenta una grande opportunità di semplificazione riguardo all’accesso al test di misurazione della PCR, che può essere effettuata in setting Point of Care, come la farmacia, insieme ai già conosciuti test che valutano il profilo glicemico e quello lipidico. Tutto ciò è molto interessante anche in ottica di spostamento degli esami di primo livello sul territorio, garantire cioè la prossimità di diagnosi e soprattutto accelerare la diagnosi stessa. Per approfondire il tema, Motore Sanità ha promosso il webinar “Progetto CRP”.

“Una PCR in costante calo sino a completa normalizzazione permette di dare un giudizio positivo sull’impatto dell’antibioticoterapia, che potrà quindi essere definitivamente interrotta”, ha confermato Francesco Menichetti, Presidente GISA. “D’altronde, una mancata discesa e normalizzazione della PCR porrà il clinico di fronte al dilemma relativo a un’errata diagnosi, a una inadeguata scelta della terapia antimicrobica, o ancora a un’infezione barrierata che non ha ricevuto l’adeguato “source control”. Un nuovo incremento dei valori della PCR, specialmente quando si ha a che fare con infezioni correlate a materiale protesico, sarà indicativo della persistenza dell’infezione, assai probabile quando si tenta di controllare queste infezioni, senza ricorrere alla bonifica chirurgica (rimozione della protesi infetta). Se i test microbiologici rapidi con la pronta identificazione del patogeno e l’antibiogramma molecolare rappresentano la nuova frontiera dell’ottimizzazione dell’antibioticoterapia, è evidente che un uso intelligente e sistematico della PCR è in grado di fornire un importante ausilio per il clinico aiutandolo nell’adeguata valutazione dell’efficacia dell’antibioticoterapia e dando importanti indicazioni sulla sua durata. È infatti proprio la durata dell’antibioticoterapia uno dei punti chiavi che un buon programma di stewardship antimicrobica deve perseguire: terapie antibiotiche brevi, se efficaci, impattano meno sulla flora microbica intestinale e contribuiscono nel contenere il fenomeno dell’emergenza dei microbi resistenti”.

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