
Nuova Remunerazione, lo dicono anche le farmacie europee
Nei giorni in cui farmacie e farmacisti italiani stavano faticosamente , per l’ennesima volta, ricompattando un fronte comune per riaprire i lavori della riforma della remunerazione, il presidente di Assofarm, Venanzio Gizzi, era a Lille per partecipare all’Assemblea dell’Unione Europea delle Farmacie Sociali.
“Dal confronto tra più contesti nazionali- dichiara Gizzi- è emerso e si è condiviso la priorità di ridefinire i sistemi remunerativi tra farmacista e sistema sanitario pubblico. La strada è ormai codificata da più di dieci anni: la risposta sta nella dispensazione di nuovi servizi in farmacia.
Ma dietro la parola comune dei “servizi” si nascondono diversi intendimenti, e diversi tempi di attuazione. Mentre in Italia da oltre dieci anni servizi ausiliari e dal basso valore aggiunto faticano a trasformarsi da testo di legge in realtà, altrove servizi cognitivi decisamente professionalizzanti si stanno rapidamente affermando come pratica quotidiana.
Il caso francese è emblematico. Da qualche tempo i farmacisti francesi possono somministrare i vaccini anti-influenzali ricevendo una remunerazione pubblica di 7 euro a paziente. La contrarietà dei medici non è certo mancata, ma ha dovuto arretrare di fronte all’aumento della copertura vaccinale e al conseguente calo dei costi sociali dovuti all’influenza. Ancora più qualificante dei vaccini è la possibilità offerta ai farmacisti francesi di distribuire direttamente farmaci chemioterapici assumibili per bocca.
Sono, queste, due attività contenute in un più ampio progetto di sviluppo dei servizi in farmacia che comprende azioni di pharmaceutical care anche tramite sistemi di videosorveglianza e che consente al farmacista di sostituire i farmaci in ricetta, qualora il medico non abbia esplicitamente vietato l’operazione. Secondo una recente indagine, illustrata a Lille dai nostri colleghi transalpini, oltre l’80% dei farmacisti francesi è pienamente soddisfatto del processo di riforma in atto.
La Francia è un paese che per dimensioni territoriali e demografiche, complessità sociale e problematiche farmaceutiche ben si presta a confronti istruttivi per il nostro paese.
La farmacia francese ha i suoi problemi, primo fra tutti quello della desertificazione territoriale da contesti geograficamente marginali. Ma ad esso si sta opponendo da tempo un piano pubblico molto deciso.
Lo Stato francese ha i suoi problemi di bilancio (famose le sue sforature al rapporto deficit/pil, concesse da Moscovici), eppure ha saputo trovare nuove risorse da investire in un rilancio della farmacia tramite lo sviluppo di servizi innovativi.
Quest’ultimo punto è quello che sembra mancare in Italia.
Ogni volta che da noi si riapre il dibattito su servizi e nuovi sistemi remunerativi, Stato e Regioni si affrettano a dire “va bene tutto, purché nell’invarianza di spesa e tenendo conto dei trend”.
È una visione ragionieristica dell’evoluzione dei sistemi sanitari: di quello che si sta cambiando alla fine conta solo quanto costa oggi.
E non quanto potrebbe rendere domani. Sarebbe come se valutassimo l’operazione dei vaccini anti-influenzali francesi moltiplicando il numero di cittadini che hanno ricevuto il servizio per i 7 euro di costo unitario. Punto e basta.
Più corretto sarebbe invece confrontare questo dato con il numero di ore lavorative salvate dall’influenza, la qualità della vita migliorata per i cittadini che non si sono ammalati, le vite salvate delle persone per le quali una semplice influenza può essere letale. Questi sono i pro sociali da opporre ai contro economici di un progetto che certamente avrà variato le voci di spesa dedicate alla copertura vaccinale francese.
Dobbiamo avere tutti più coraggio nel percorrere la strada del cambiamento. La riforma è un investimento: cambiare qualcosa oggi perché domani questo qualcosa darà frutti migliori di quelli che possiamo ottenere oggi. I rischi ci sono, ma ci sono anche le opportunità.
Lo ripetiamo: tutti noi siamo chiamati a questa evoluzione culturale. Lo devono essere Governo e Regioni, che devono essere meno amministrativi e più amministratori del patrimonio sociale collettivo. Lo devono fare le farmacie, troppo distratte da fatue tentazioni commerciali per investire nel potenziale sanitario della loro professione.
O saremo capaci di fare questo salto culturale dell’investimento sociale, o potremo scoprire che all’invarianza della spesa potrebbe corrispondere l’invarianza dei risultati.