Obesità pesa sul cuore: 400.000 italiani con scompenso cardiaco per colpa dei chili di troppo
“Fat but fit”, cioè “grasso ma in salute”, è un mito da sfatare: non è vero che chi è obeso e non soffre di diabete di tipo 2, ipertensione o colesterolo alto è protetto dalle malattie cardiache. Anzi, ha più rischi di svilupparle.
I chili in eccesso sono fra le cause dirette dello scompenso cardiaco nei casi in cui il cuore non è in grado di riempirsi correttamente (con frazione di eiezione
conservata), che riguardano circa la metà dei casi di insufficienza cardiaca e si accompagnano all’obesità nell’80% dei pazienti. Il ‘paradosso dell’obesità’ nasce anche da errori di diagnosi perché non è obeso soltanto chi ha l’indice di massa corporea superiore a 30, ma anche chi ha un accumulo di grasso addominale: il girovita non deve andare oltre 88 cm, nelle donne, o 102 cm negli uomini, e c’è un nuovo indicatore da tenere d’occhio, il rapporto girovita/altezza che deve essere minore di 0.5.
Il grasso corporeo in eccesso comporta ipertensione, sindrome metabolica, diabete, fibrillazione atriale, tutte patologie che si associano poi all’insufficienza cardiaca.
Oltre la metà dei pazienti con scompenso ha il cuore che non è in grado di riempirsi correttamente e di questi si stima che fino all’80% sia obeso.
Oggi è finalmente possibile trattare il mix di scompenso e obesità con un farmaco specifico, semaglutide, che riduce il peso in eccesso ma anche i sintomi dell’insufficienza cardiaca, migliorando qualità di vita e funzionalità fisica.
“Scompenso cardiaco e obesità sono due epidemie in rapidissima crescita: l’insufficienza cardiaca oggi colpisce oltre un milione di italiani e si stima un incremento del 30% dei casi entro il 2030 –osserva Pasquale Perrone Filardi, presidente SIC – L’aumento dei casi è trainato in parte dall’incremento dell’aspettativa di vita, perché la prevalenza della patologia raddoppia a ogni decade di età e dopo gli 80 anni lo scompenso colpisce il 20% della popolazione”.
“Semaglutide inoltre riduce l’infiammazione (-43.5% dei valori di proteina C reattiva) e comporta una maggiore perdita di peso (-13% vs. 2.6%) rispetto al placebo.
Si tratta perciò di una strategia di trattamento che incide in maniera positiva sulla perdita di peso ma anche direttamente sul profilo infiammatorio che accompagna spesso le malattie cardiovascolari ischemiche e lo scompenso.
Ciò avrà probabilmente un impatto significativo sulla pratica clinica, soprattutto perché vi è una carenza di terapie efficaci in questo gruppo di pazienti vulnerabili”, dichiara Gianfranco Sinagra, direttore del Dipartimento Cardiotoracovascolare Asugi e Università di Trieste.