Una sentenza di tribunale [forse la prima] sulla detenzione di farmaci scaduti dopo gli inasprimenti della “Lorenzin”
Ho letto il suo commento sulle novità della Lorenzin riguardanti i medicinali scaduti che però alle farmacie non avrebbero recato grandi vantaggi; ma in qualche rivista vediamo commenti che invece danno un giudizio positivo sulla legge anche per aver depenalizzato un reato che ci ha fatto sempre tribolare.
È veramente difficile, per quanto ci riguarda, cogliere nella l. 11/1/2018, n. 3, interventi di favore o simili verso la farmacia come tale, o con riguardo al titolare e/o dei suoi collaboratori, e certamente è tutt’altro che di favore anche quello sulla detenzione di farmaci scaduti.
Intanto, le disposizioni che il provvedimento contiene – oltre a tacere sorprendentemente su temi invece da tempo bisognosi di un chiaro intervento legislativo – inaspriscono generalmente il trattamento sanzionatorio di alcune condotte o ne configurano per la prima volta la punibilità: si consideri specificamente, per portare un esempio significativo, il reato di “esercizio abusivo di una professione” che il comma 1 dell’art. 12 della legge, sostituendo integralmente l’art. 348 del cod. pen., estende [con pene edittali addirittura più gravi] anche al “professionista che ha determinato altri a commettere reato… ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo”.
Per la verità, più che di una mera estensione del reato base, parrebbe tecnicamente preferibile parlare di una figura ridisegnata ex novo per il “professionista che ha determinato ecc.”, anche se questo ovviamente cambia poco.
Sta di fatto che il pensiero per ragioni intuibili corre subito al magazziniere della farmacia e alle “distrazioni” del titolare, e sotto questo profilo può semmai preoccupare particolarmente la seconda fattispecie che vi è configurata [“…ha diretto…”] perché può assumere un ambito applicativo imprevedibilmente molto ampio.
Inoltre, senza voler scendere oltre nella disamina dei vari precetti legislativi, personalmente ci ha dato molto fastidio l’improvvisa scomparsa dal testo originario, e proprio in dirittura d’arrivo, della disposizione che avrebbe sostituito – dignitosamente ed efficientemente per tutti (nessuno escluso) e con pregiudizi per nessuno – l’ormai insopportabile primo comma dell’art. 102 del TU.San. sul divieto di cumulo soggettivo, e sapete di cosa stiamo parlando.
E perfino quello che avrebbe voluto essere un intervento rasserenatore – ci riferiamo all’“interpretazione autentica” sull’insuperabilità del tetto dei 35 punti nei concorsi per sedi farmaceutiche anche in caso di applicazione della maggiorazione prevista per i rurali – si è risolto in una disposizione (art. 16) non felice perché non del tutto esaustiva, fortunatamente però riparata da una sentenza subito successiva del Consiglio di Stato, e anche qui almeno qualcuno ha ben presente l’argomento.
Come del resto la “Lorenzin” avrebbe potuto risolvere – perché no?, visto che l’art. 16 ha comunque penetrato la materia dei concorsi straordinari – anche le questioni tuttora angoscianti della titolarità pro quota (ai vincitori in forma associata) e del supposto impedimento a una “doppia assegnazione”.
Ma torniamo alla “detenzione dei medicinali scaduti, guasti o imperfetti” [il tema riproposto dal quesito], sulla quale – lo sappiamo – interviene il comma 4 del citato art. 12 sostituendo il terzo comma dell’art. 123 del TU: se ne è trattato abbastanza a fondo nella Sediva News dell’01/03/2018 (“Nella Lorenzin un fil rouge con la “tenuità del fatto” sui farmaci scaduti”), che riteniamo di poter integralmente confermare senza grandi perplessità, dovendo quindi ribadire anche, in particolare, che questa è una condotta assoggettata a una “depenalizzazione condizionata”.
Persiste cioè, nonostante il nuovo testo dell’art. 123 non ne faccia più esplicito riferimento, l’obbligo del titolare della farmacia di curare che i medicinali detenuti non siano “scaduti, guasti o imperfetti” [si badi: anche se nel testo precedente non c’era alcun cenno a quelli “scaduti”, la giurisprudenza li aveva più o meno costantemente ritenuti, quasi per definizione, “guasti o imperfetti” e perciò ora il legislatore ne ha in realtà recepito le indicazioni], ma l’inosservanza di quell’obbligo non integra più, sempre e comunque, il delitto – nel concreto perseguito, come noto, prevalentemente nella forma colposa – di cui all’art. 443 c.p., perché la sanzione è ora soltanto amministrativa, ed esattamente “pecuniaria da euro 1.500 a 3.000.
Questo però, eccoci al punto, solo quando “risulta” che per
1 – la modesta quantità dei farmaci,
2 – le modalità di conservazione e
3 – l’ammontare complessivo delle riserve,
“si può concretamente escludere la loro destinazione al commercio”.
Sono dunque questi i presupposti, cioè le condizioni – che, ripetiamo, devono ricorrere tutte e insieme – alle quali il legislatore ha voluto dichiaratamente subordinare la depenalizzazione della condotta.
È un quadro peggiore del precedente? La risposta non può che essere affermativa, perché oggi – a differenza di ieri – la detenzione anche di una sola confezione di farmaco scaduto non concede margini all’“accertatore”: se ricorrono le tre condizioni, scatterà pertanto la sanzione pecuniaria; ma se quella confezione sarà casualmente rinvenuta in una modalità di conservazione non tale da escluderne “concretamente” la “destinazione al commercio” [ad esempio, in un cassetto del banco o in una vetrina del locale], l’informativa alla procura dovrebbe essere per lui [quale pubblico ufficiale] un atto perfino dovuto, perciò ineludibile.
All’“accertatore” quindi, come si suol dire, tertium non datur e inoltre resta fermo in ambedue le ipotesi (amministrativa o penale) l’intervento obbligatorio dell’Ordine ai sensi dell’art. 37, comma 5, del Vs. Codice deontologico.
Non che prima della “Lorenzin” l’“accertatore” potesse fare i suoi comodi, ma un qualche spazio “decisionale” la prassi – e per lo più anche i giudici di merito – in fondo glielo concedeva, anche per alcune equivocità rinvenibili proprio nella versione precedente dell’art. 123 come pure nell’art. 443 c.p., specie se teniamo presente che nessuna di tali due disposizioni faceva il minimo cenno a medicinali “scaduti”. E questo già di per sé poteva bastare per spiegare quel pur modesto ambito “decisionale” cui si è accennato.
Beninteso, le cose nei fatti potranno anche andare diversamente da come le stiamo descrivendo, o magari la Cassazione potrà discostarsi da interpretazioni così strettamente aderenti al disposto normativo, ma per il momento l’intervento della “Lorenzin” – specie se guardiamo alla generalità e forse anche alla ratio dell’intero provvedimento – non sembra autorizzare conclusioni ottimistiche su nessun versante, men che meno su questo.
Prima di chiudere, dobbiamo però dar conto – come anticipato nel titolo – di una prima decisione di merito sul tema: si tratta della sentenza del Tribunale di Roma n. 4538 del 22 marzo 2018, dal cui testo (allegato nelle parti che contano) potrete rilevare come l’imputato – che “nella sua qualità di titolare della farmacia… deteneva all’interno dell’armadio stupefacenti, unitamente ai farmaci vendibili, numero tre confezioni di farmaci scaduti in particolare ecc…” – abbia portato a casa in un colpo solo due risultati a lui favorevoli.
Da un lato, infatti, il giudice gli ha riconosciuto la “depenalizzazione condizionata” di cui si è parlato finora, nonostante che dalla descrizione dei fatti non sembrerebbe per nulla che i farmaci scaduti fossero conservati con modalità tali da “concretamente escludere la loro destinazione al commercio”; pertanto, quasi anticipando quel che potrebbe essere in futuro l’atteggiamento meno integralista della Suprema Corte che abbiamo ipotizzato poco fa, avremmo già ora un primo esempio di applicazione della disposizione “Lorenzin” in termini certo non rigorosi ma francamente un po’ troppo distanti dal dettato normativo visto che qui secondo il giudice “è del tutto evidente (?) che la condotta posta in essere dal… rientra tra quelle previste dal sopraindicato illecito amministrativo”.
Dall’altro lato, e questo invece è sicuramente condivisibile, per il Tribunale è anche “evidente che sulla base del principio di legalità degli illeciti amministrativi di cui all’art. 1 della legge n. 689 del 1981 l’imputato non può essere sottoposto a una sanzione amministrativa non prevista alla data di commissione del fatto”: dunque, nella vicenda non è applicabile a carico dell’imputato neppure la sanzione amministrativa.
È un precedente, per quel poco o tanto che può valere, in cui oltretutto sembra potersi scorgere un meccanismo – innescato evidentemente proprio dall’intervento legislativo – in grado di “ripulire” la fedina penale da eventuali incidenti occorsi in passato.
Secondo i principi generali, infatti, chi sia stato condannato con sentenza o decreto penale passati in giudicato – quando successivamente sia venuto meno nell’ordinamento il reato de quo [per effetto di un provvedimento di depenalizzazione, o dell’abrogazione della norma incriminatrice, o di una sentenza della Corte Costituzionale] – può chiedere al Giudice dell’Esecuzione la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna.
Di conseguenza, è una chance di cui si potrebbe avvalere anche il farmacista che in passato fosse ipoteticamente incappato in un provvedimento giudiziario di condanna per il reato (nella forma colposa) di cui all’art. 443 cod. pen.: non ci risulta, è vero, che i casi del genere siano numerosi, ma in quei pochi può verosimilmente valere la pena cogliere proprio questa opportunità.
(gustavo bacigalupo)