Una società titolare che assume l’intero capitale sociale di altra società titolare
Negli uffici della nostra Asl giungono sempre più spesso pratiche difficili da risolvere, soprattutto per noi dirigenti farmacisti, e vorrei approfittare della vs. competenza per sottoporvi questa particolarissima questione.
Una srl titolare di una farmacia ha acquistato l’intero capitale sociale di un’altra srl titolare anch’essa di una farmacia e ci ha trasmesso gli atti notarili chiedendoci di prenderne semplicemente atto, sostenendo che non è dovuta la tassa di concessione regionale prevista per il trasferimento della titolarità.
Il presidente della prima srl, pur essendo state modificate la denominazione, la sede e la compagine sociale della seconda srl, sostiene che la titolarità della farmacia di quest’ultima non è passata in realtà alla prima e che quindi non è dovuta la tassa.
È giusta questa posizione?
Definendo per semplicità “srl madre” la prima delle due e “srl figlia” la seconda, la tesi affermata dal presidente [verosimilmente del CdA] della “srl madre” è corretta, perché della “srl figlia” – ed è quel che conta – non è mutata la soggettività giuridica.
L’identità della srl partecipata non cambia
Nonostante infatti le modifiche dell’intera compagine sociale, della ragione sociale, della sede legale e probabilmente anche di parecchie disposizioni dell’atto costitutivo/statuto della “srl figlia”, il soggetto giuridico – che, in quanto tale, può acquistare diritti e assumere obblighi e quindi essere parte di/in rapporti giuridici – è rimasto perfettamente lo stesso e sarebbe rimasto perfettamente lo stesso anche se la “srl figlia” avesse assunto, ad esempio, la forma della spa e perfino laddove fosse stata/fosse modificata in società di persone [però in tal caso, che anche per questo è poco verosimile, l’unipersonalità dell’ipotetica snc o sas non potrebbe eccedere il semestre di durata].
Come permangono allora in capo alla “srl figlia” – salve evidentemente disposizioni unilaterali o pattizie di segno contrario – tutti i rapporti giuridici [inerenti a contratti di fornitura, locazioni, rapporti di lavoro ecc.] in essere al momento dell’assunzione dell’intero capitale da partedella “srl madre”, così resta immutato nella sfera della “srl figlia” anche il diritto di esercizio della farmacia, cioè la c.d. titolarità, che dunque non si trasferisce a chicchessia.
L’esclusione quindi di un qualsiasi subentro, almeno in principio, della “srl madre” alla “srl figlia” nei rapporti giuridici di quest’ultima comporta fatalmente – quale effetto o conseguenza (anche indirettamente) delle modifiche intervenute con riguardo alla “srl figlia” e in particolare dell’acquisizione integrale del suo capitale da parte della “srl madre”, che qui diventa perciò un’autentica holding di partecipazione – anche la non debenza dall’una e/o dall’altra srl della tassa di concessione regionale prevista [ci pare in tutti gli ordinamenti regionali, esclusa la Toscana] per il trasferimento della titolarità della farmacia da un soggetto a un altro, o, più correttamente, per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio a nome e a favore del soggetto avente causa.
La comunicazione delle variazioni statutarie – Verso il superamento della “presa d’atto”?
Non resta pertanto alla vs. Asl – forse operante nell’Italia settentrionale dove infatti sono per lo più le Asl le amministrazioni competenti al conferimento della titolarità – che prendere atto dell’intervenuta modifica della compagine sociale della “srl figlia” e delle altre variazioni del suo atto costitutivo/statuto [risultino o meno da rogiti notarili], che è obbligatorio comunicare [alla Fofi, all’Assessorato regionale, all’Ordine e all’Asl] ai sensi del comma 160 della l. 124/2017, come vedremo meglio in un’altra occasione.
Senonché, almeno qui le prese d’atto – che giuridicamente valgono molto poco perché in questo ambito non possono mai assurgere a provvedimenti amministrativi, e lo abbiamo sottolineato in più di una circostanza – sembra abbiano fatto il loro tempo e le amministrazioni pubbliche forse se ne stanno finalmente rendendo conto.
Lo si è potuto ad esempio rilevare anche da una recentissima nota di Roma Capitale che ha felicemente significato alle Asl che, qualora intervengano modifiche delle compagini societarie e/o variazioni dello statuto inerenti le “società che gestiscono sedi farmaceutiche”, a far data dal 1 gennaio 2019 le Asl dovranno far pervenire al Comune soltanto una comunicazione relativa all’avvenuta variazione societaria, che verrà conservata agli atti comunali senza la successiva emissione di un provvedimento di presa d’atto da parte dell’amministrazione capitolina.
Però, s’intende, se nella vs. Asl la presa d’atto è ancora di attualità, sarà questa l’unica misura che potrete/dovrete adottare.
Ma ben altri nodi dovranno essere sciolti…
Precisando che quella che abbiamo ora brevemente esaminato è solo una delle mille questioni diverse che Asl, Comuni e Regioni [e prima ancora avvocati, notai e commercialisti] sono/saranno ineludibilmente chiamati a risolvere perché – questo è chiaro – le diversità possono essere infinite e diversamente risolvibili, i più attenti di voi avranno sicuramente colto che il dirigente della Asl che ha posto il quesito non sembra aver dato alcun peso alla partecipazione di una società titolare di farmacia a un’altra società titolare di farmacia e addirittura assumendo l’intero capitale sociale.
È doveroso infatti rammentare che questa è una vicenda che, secondo il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato, sarebbe resa difficile, per non dire irrealizzabile, dall’incompatibilità asseritamente derivante alla “srl madre” – quale soggetto a sua volta titolare di una farmacia – dall’art. 8, comma 1, lett. b), l. 362/91.
Abbiamo già ripetutamente rilevato che questa interpretazione non può essere condivisa, e ci sembra che della stessa opinione siano un po’ tutti quelli che si occupano del settore, ma evidentemente potrebbero essere d’accordo [magari… silenziosamente] anche i funzionari di Asl, Comuni e Regioni che in fondo, tenuto conto che quel parere non è affatto vincolante per tali amministrazioni, potrebbero anche – perché no? – prendere le distanze da tesi così poco sostenibili se non altro perché fortemente in contrasto con la ratio dominante, quanto al sistema farmacia, della/nella l. 124/2017.
D’altra parte, i casi di discostamento degli uffici pubblici da alcune conclusioni di quel parere cominciano ad essere numerosi: è certamente un buon segno, perché vuol dire che la burocrazia può anche non essere così pigra, o perfino ingessata, come talora abbiamo dovuto constatare e in ogni caso, attendendo i dicta del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, ben vengano scelte di sana “autarchia” come queste, alle quali crediamo dunque non si possa che plaudire.
…però anche i farmacisti dovranno collaborare
Tornando, per concludere, ai nodi che dovranno anch’essi prima o poi essere dipanati, si pensi – tanto per anticipare i temi di cui ci occuperemo in prosieguo – ai casi di fusioni, incorporazioni, scissioni, “scatole cinesi”, ecc. dove naturalmente il dubbio sulla debenza della tassa di concessione regionale [che in queste ipotesi peraltro sembrerebbe generalmente dovuta] è solo l’ultimo dei problemi.
Ma, ahiloro, anche i farmacisti [e non ultimi i farmacisti dirigenti delle Asl…] devono darsi carico – senza necessariamente dover diventare esperti in diritto societario – di cogliere almeno i “fondamentali”, cercando allora di non subire passivamente le idee dei professionisti ma sforzandosi di dare il loro contributo nell’individuazione dei percorsi meglio conformi alle loro scelte, spesso in realtà scelte di vita.
(gustavo bacigalupo)